Con più di 105mila contagiati, oltre 77mila italiani tuttora positivi e quasi 12.500 morti, l’Italia raggiunge il picco del contagio per il coronavirus.
Ad un mese e mezzo di distanza da quel 20 febbraio quando a Codogno è stato diagnosticato il coronavirus al 38enne Mattia, gli scienziati pronunciano la parola tanto attesa da tutta Italia.
Che non significa però la fine delle misure di contenimento e del distanziamento sociale: per le prime, si andrà avanti almeno fino a Pasqua; al secondo, dovremmo abituarci per mesi.
Insomma è necessario mantenere salda l’attenzione e la consapevolezza che di strada da fare per ce n’è ancora molta. Per rendersene conto basta verificare i dati relativi al 31 marzo: 837 vittime in un giorno, 35 l’ora.
Ci sono però anche numeri positivi, che giustificano un cauto ottimismo: continuano a calare i ricoverati negli ospedali, se il 26 marzo l’incremento era stato di 1.276 nuovi malati, dopo una graduale diminuzione si è arrivati ai 397 del 30 marzo.
Con la Lombardia che ospedalizza 68 nuovi pazienti e l’Emilia che ne ha invece 14 in meno. Calano anche i nuovi ingressi in terapia intensiva: il 31 marzo erano 42, il giorno precedente 75, il 26 marzo 120.
E anche se si vanno a guardare le percentuali, i numeri confermano il rallentamento: l’incremento del totale dei contagiati passa dal 4,15% al 3,98% e quello delle terapie intensive dall’1,92% all’1,06%.
Secondo gli scienziati i dati di questi giorni hanno un valore preciso. «La curva ci dice che siamo al plateau e dire che siamo al plateau vuol dire che siamo arrivati al picco», sottolinea il presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, che però avverte «non vuol dire che abbiamo conquistato la vetta e che è finita, perchè il picco non è una “punta” ma un pianoro e ora dobbiamo scendere dall’altra parte». E la discesa, lasciano intendere gli esperti, sarà difficile, lenta e non priva di rischi. «Dal pianoro l’epidemia può ripartire», sottolinea non a caso Brusaferro.