Accademia Italiana Multidisciplinare per l’Urologia territoriale
I° Congresso Nazionale
L’Urologo Territoriale in evoluzione tra multimodalità e multimedialità
Pescara 27/28/29 Giugno 2013
Che Giuseppe Di Giovacchino fosse particolarmente bravo in qualità di organizzatore di eventi scientifici, lo avevo già verificato in occasione del “X Annual meeting- Memorial Franco Di Silverio” che aveva gestito lo scorso anno a Montesilvano.
Confesso che sono rimasto piacevolmente stupito, dopo aver partecipato al I° Congresso Nazionale del AIMUT (Accademia Italiana Multidisciplinare per l’Urologia territoriale) di pochi giorni orsono.
E’ vero che si trattava della presentazione di questa nuova Associazione della quale è il primo Presidente, è anche indiscutibile che Pescara, grazie alla indimenticabile figura del prof. Franco Di Silverio, richiama sempre molti colleghi, fatto sta che Peppino è riuscito a mettere insieme, a ridosso della ferie estive, oltre una cinquantina di colleghi che rappresentavano l’urologia italiana sia di ieri che di oggi.
Gli argomenti trattati nelle riunioni erano interessanti ma, sono tali e tanti gli eventi che si susseguono nel modo urologico che una concentrazione di Professori universitari e Primari ospedalieri , era comprensibile sole se richiamata dalla popolarità di di Giovacchino e dal ruolo che, si auspica, possa avere l’urologo territoriale, figura professionale a lui tanto cara.
Essendo l’inquadramento istituzionale, al momento, francamente sottovalutato e comunque ben lontano da un coordinamento formale con l’urologia ospedaliera, avevo riflettuto a lungo sul tema preparandomi delle considerazioni che, per motivi di tempo, non ho ritenuto opportuno esternare ai partecipanti,in occasione della inaugurazione dell’evento.
Ho potuto invece, con mia grande soddisfazione, ottenere la totale condivisione delle mie idee da parte di Alberto Masala, Presidente SIU che, come me, era stato invitato in qualità Presidente di una Società urologica nazionale.
E’ per tale motivo che mi sembra giusto che i soci dell’AURO, sappiano come la pensa il loro presidente che , ve lo giuro , è pronto a confrontarsi con ogni collega su questo tema.
Quando Giuseppe Di Giovacchino mi ha proposto di partecipare al Congresso, non ho potuto fare a meno di pensare a mio padre, che per decenni, ha fatto il lavoro di specialista extraospedaliero, senza il supporto di associazione alcuna ma con alcuni obiettivi ben chiari.
Il rispetto degli interessi clinici ed umani del paziente, la salvaguardia della propria professione e la cura di rapporti privilegiati con alcuni specialisti universitari ed ospedalieri che considerava essere, per lui, un riferimento essenziale.
Senza linee-guida e consensus conferences, anche 50 anni orsono, era consentito allo specialista operante sul territorio,di avere un ruolo insostituibile nella gestione del paziente che spesso conosceva da tempo e che aiutava, qualora fosse stato necessario, nei rapporti con il collega ospedaliero.
Da Presidente di una Società Scientifica nazionale se, “qualcuno che conta”, mi desse l’incarico di aiutarlo ad organizzare l’urologia in un determinato territorio,(diciamo una vasta provincia) opererei in questo modo.
1 Concorrerei,con il mio committente, a far dimensionare la disponibilità di letti all’ ipotetico numero di ricoveri
2 Farei altrettanto con la diagnostica di laboratorio e radiologica, a disposizione di MMG , specialisti operanti sul territorio e degli specialisti ospedalieri, ovviamente.
3 Concorrerei con il mio committente a decidere il numero degli specialisti, distribuendoli tra reparti ospedalieri ed operanti sul territorio.
Nominerei quindi un coordinatore degli urologi territoriali con figura esattamente analoga al Primario e con un incarico specifico: condividere, con i colleghi ospedalieri, le impostazioni diagnostico-terapeutiche e sovraintendere sull’operato dei propri collaboratori. Solo così verrebbe garantito e controllato, istituzionalmente, il ruolo dello specialista territoriale che, avendo un rapporto più stretto con il paziente, lo potrebbe seguire più assiduamente attenendosi a criteri clinici condivisi con i colleghi ospedalieri con i quali “mediare” eventuali contatti, in caso di necessità.
Vi faccio un esempio: che senso ha, in era telematica, continuare ad inviare in ospedale il paziente in follow-up per una neoplasia vescicale superficiale a basso rischio, quando una cistoscopia di controllo può essere effettuata in una sede decentrata? Analogo discorso può valere che so io, per uno studio urodinamico o una biopsia prostatica.
Altrettanto dicasi per il follow-up di un soggetto sottoposto a prostatectomia radicale o in osservazione per un adenoma prostatico paucisintomatico che non ha i requisiti,condivisi, perché gli venga proposta una procedura cruenta.
Il tutto, ovviamente, non può prescindere dalla condivisione di linee guida che debbono essere motivo di discussione preliminare tra tutti gli addetti ai lavori.
Forse questo potrebbe aiutare,essendoci un reciproco controllo sulla messa in pratica di quanto deciso insieme,ad evitare tante indagini senza senso quali le periodiche quanto inutili e fastidiose ecoT/R nei pazienti con IPB, piuttosto che le scintigrafie ossee e le TC nei candidati ad una prostatectomia radicale per malattia a basso e medio-basso rischio.
Mi dite perché questo modo integrato di fare medicina può funzionare in un ospedale tra specialisti di diverse discipline nei gruppi multidisciplinari( io ne coordino uno che mi dà grandi soddisfazioni) e non dovrebbe avere analogo risultato nella integrazioni tra colleghi, per di più della stessa disciplina, che operano all’interno ed all’esterno dell’ospedale?
Non è detto che tutti gli urologi debbano saper fare una nefrectomia VLS, è obbligatorio, finchè ci vanteremo giustamente di avere un S.S.N. pagato dall’ignaro contribuente, che tutti gli addetti ai lavori dicano che il suddetto intervento è il golden standard per togliere un rene nel 2013.
Sarà poi il paziente a scegliere se farsi operare, a cielo aperto, nell’ospedale sotto casa o rivolgersi altrove.
La cosa non mi sembra per nulla scandalosa in quanto è quanto occorre, per motivi geografico-organizzativi, quotidianamente negli Stati Uniti.
Non è che, nell’ambito dell’aeronautica militare, tutti gli ufficiali debbano saper pilotare un Eurofighter, c’è chi si interessa della strumentazione, chi dei motori piuttosto che della strategia della difesa militare, fermo restando che, stabiliti obiettivi e procedure, questi debbono essere seguiti da tutti.
Perché questo non deve valere anche per la medicina? E’ ovvio che le mille ed una sfumatura debbono restare un elemento per curare meglio quel singolo paziente alla condizione che a questo non vengano raccontate enfatiche ed illusorie sciocchezze come purtroppo osserviamo quotidianamente sul web.
Da ultimo, se uno specialista territoriale così come può farlo un ospedaliero, ravvede l’opportunità, per specifica competenza su una patologia di nicchia,di riferire il paziente a collega di altra provincia o regione, lo faccia pure, nessuno può vietarglielo.
Sottolineo infine che tutto ciò non deve penalizzare la medicina privata, sacrosanto diritto della scelta del paziente oltre che della attività clinica di ciascun medico. Competenza specifica, rapporti umani o quant’altro, possono orientare il malato verso questo o quello specialista con il quale instaurare un rapporto libero-professionale
Fino a prova contraria viviamo in un Paese libero! E speriamo duri
Da Presidente dell’Auro, ribadisco che mi ha particolarmente gratificato l’opinione di un collega della competenza e dell’esperienza di Alberto Masala, Presidente della SIU che, come me, si è dichiarato totalmente disponibile ad aiutare i colleghi che operano sul territorio a mettere in piedi una organizzazione del genere che, non ultimo, li aiuti anche a riacquisire una immagine professionale che, grazie anche alla supponenza di alcuni di noi (tanto universitari quanto ospedalieri), hanno in parte perduto.
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